Il peso dei capricci della Moda

I danni di spreco, negligenza e follia!

Con il passare degli anni (e con i martellamenti mediatici) siamo diventati tutti più o meno consapevoli dei disastri della Moda. I video, gli articoli ed i servizi di varie trasmissioni, dalla Rai alle Iene, oltre alla divulgazione quotidiana fatta sui social network da personaggi più o meno informati ed influenti, hanno messo in luce quelle che sono le magagne della moda: dalla sovrapproduzione allo sfruttamento dei lavoratori, dall’inquinamento ambientale fino alla tendenza poco gentile di usare gli altri Paesi (soprattutto del sud del mondo) come nostra discarica. Effetti conseguenti di un sistema che non funziona a monte, lì dove interi uffici stile assecondano i capricci del proprio EGO senza pensare alle possibili ripercussioni delle proprie azioni. Di aneddoti ne avrei parecchi da raccontare, io come altri milioni di persone che hanno lavorato in questo mondo; la scorsa settimana poi, facendo un giro tra stockisti, produttori e stampatori, ho avuto la conferma che niente è cambiato e che la follia imperversa ancora. Per questo è giusto che certe storie siano raccontate…

TUTTA COLPA DI QUEL “CERULEO”…

Il pippone di Miranda sul “ceruleo” ne “Il diavolo veste Prada” ce l’abbiamo presente tutti. Siamo perfettamente consci del valore sociale di certe scelte di stile (ma bastava anche meno), meno consci dell’impatto ambientale che generano certe seghe mentali o capricci (che rende meglio l’idea) che escono direttamente dagli uffici stile dei brand. Perché, diciamoci la verità, parte tutto da lì. Reparti marketing e reparto design lavorano gomito a gomito per lanciare fuori collezioni con cadenza…vabbè, diciamo almeno semestrale ma sappiamo bene che ce ne sono minimo 4 all’anno (nel lusso) e circa 32 all’anno nel fast fashion. Ed è da lì che partono input ai fornitori, sotto forma iniziale di campioni e campionari. Ed è lì che iniziano i primi sprechi: di materia prima, di tempo, di lavoro…

Quando ero una giovane stilista in azienda (circa 21 anni fa) il processo “creativo” era molto schematico ed industrializzato: venivano dati degli input iniziali, la collezione divisa in mini gruppi e a ciascuna designer veniva assegnato il suo (o i suoi), da sviluppare secondo linee guida abbastanza rigide. Dopo una prima fase di disegno, per modo di dire, si passava allo sviluppo del primo campione (cartamodello, taglio del tessuto, cucito, eventuali ricami e stampe). Una volta arrivato in azienda veniva controllato e sdifettato: cm in più o in meno da limare o aggiungere, un ricamo da spostare di qualche millimetro, il tono di celestino che non era del celestino giusto…a volte si trattava di dettagli impercettibili, altre volte di grossi errori da correggere. In entrambi i casi, si partiva con la richiesta di un secondo campione. Altro tessuto, altro ricamo, altre stampe, altri bagni di colore per tingere, altro lavoro. All’arrivo del prototipo successivo se tutto andava bene, si chiedeva comunque un terzo sample, così, per essere sicuri. Una sicurezza che costa materia prima, uso di energia, acqua e tempo. I campionari (tra uomo-donna-bambino-accessori) erano composti da circa 800 pezzi. Moltiplicali per 3 e si arriva già a 2400 capi. Ri-moltilplica per il numero di ripetizioni di campionari per tutti i rappresentati europei e si arriva a 4800: 7200 pezzi ogni sei mesi SOLO per fare campionari funzionali alla vendita della collezione. Ai tempi tutto ciò mi sembrava assurdo. Oggi, nonostante tecnologie e innovazioni che potrebbero impedire tutto questo spreco, funziona ancora così…

Rotoli sospesi…

Guarda, laggiù ci sono dei rotoli, saranno all’incirca 3000 metri di tessuto (3 Km), che non so cosa farci perché sono tutti logati“. La dura vita di chi recupera gli stock comprende anche queste menate. Il salvataggio di materiale non utilizzato, sia dai produttori sia dai vari marchi, è un’opera buona che nasconde spesso anche notevoli problemi da risolvere. Perché non tutto è rivendibile. Tipo i tessuti con i loghi o le firme dei brand. Farsi fare le proprie stampe è una pratica comune che va a rappresentare ed identificare la marca o la collezione di quella stagione. E fin qui tutto bene (diciamo). Il problema arriva quando di quella stampa se ne fanno fare km per abbattere i costi anche se chiaramente non verranno usati tutti. A volte avanzano pochi metri, altre volte autostrade di tessuti che le Signore Aziende non vogliono tenere a magazzino (di fatto rappresentano un costo nella voce di bilancio) e quindi vendono a stock (se non le bruciano prima: sì, vengono incenerite. Materiali nuovi, magari anche costosi, bruciati vivi)! Se il rogo non avviene “in casa”, il problema viene passato al povero stockista, che si ritrova con bancali pieni di materiale sospeso in un limbo dove é vietata la vendita (figurati se nome e logo del marchio possono essere riutilizzati dalla signora Pina per farsi un bel completo) ma bruciare sembra uno spreco e un crimine.

Li guardo buttati nell’angolo e penso che vorrei dare fuoco io a certi signori. Oppure multarli pesantemente per questa negligenza (altro che Responsabilità Estesa del Produttore). O obbligarli a tenerseli in casa e costituire un intero alla progettazione intelligente di collezioni o prodotti con quei materiali che vengono smaltiti perché “vecchi”…di sei mesi! E intanto siamo qui a consumare risorse e inquinare l’ambiente, il tutto mentre vengono sotto-pagate le persone che lavorano…

Il punto di colore…

Mentre continuo a camminare tra i rotoli abbandonati vedo una pila di pizzo di un color giallo pulcino sbiadito. “Cos’è, non gli piaceva il giallino?” – “Questo è stato fatto per il brand XX, ne ho preso una camionata. Ma sai quante volte recupero balle di tessuto di un colore che non andava bene? Sono così, sbagli il punto di colore e se ne disfanno…“. Il punto di colore è fondamentale. Causa di crisi isteriche nel reparto design a qualsiasi ora del giorno e soprattutto della notte (perché se non lavori anche di notte vuol dire che non sei abbastanza dedito all’Azienda), è una nota dolente causa di enormi sprechi. Far tingere una pezza di tessuto è un lavoro che richiede acqua, energia e soprattutto metri di tessuto. Difficilmente vengono fatte prove per pochi metri (per una questione tecnica e pratica). Va bene fare delle prove per valutare la resa finale, va meno bene farne mille mila per raggiungere quel punto di colore desiderato che se è un mezzo tono sotto o sopra allora è una tragedia!!! Si puntano i piedi, si grida al sacrilegio, si infama il fornitore per l’ERRORE ENORME e lo si obbliga a rifare il colore…destinando quei rotoli alla “spazzatura” (e a volte le prove “sbagliate” manco vengono pagate, costringendo i signori produttori a fare salti mortali per rimanere in piedi…poi ci si chiede perché le aziende in Italia chiudono e perché le produzioni finiscono a strozzinare fornitori esteri). Se non sono capricci questi…è pazzia! Oppure mancanza di informazione sui processi produttivi. Anche in questo caso obbligherei gli stilisti ad uscire dai loro uffici di design ai piani alti per fare giri formativi in tintorie, aziende tessili, terzisti e stamperie. Forse farebbero meno capricci…o forse no perché il livello di empatia è decisamente inferiore all’ego!

Dal giorno alla notte…

Lavoro con il marchio MEGASUPERTOP da anni. Cerco sempre di accontentarli. Un giorno mi chiamano che hanno bisogno di 1000 metri di tessuto con una stampa per il giorno dopo. Metto in pausa un altro lavoro, mi faccio mandare i file, preparo tutto e sto una nottata in piedi per farglieli in tempo. Il giorno dopo mi arriva una mail (nemmeno una telefonata) e mi dice che hanno cambiato idea e che quella stampa non gli piace più. Ecco che mi ritrovo con questi rotoli che non so cosa farci“. Io avrei saputo cosa farci…roba da film horror! Maledetti. Hanno cambiato idea. Dal giorno alla notte. Dopo aver messo in mezzo persone, tempo, materiali, energia…questo è il vero SPRECO che c’è dietro alla moda così com’è impostata al momento. Tutti possono cambiare idea, ci mancherebbe, ma certi cambi costano più degli altri. E se dietro a certi cambi c’è un capriccio momentaneo dello stilista di turno…ecco, forse si potrebbe pensare cinque minuti in più! Mentre continuiamo a camminare in stamperia mi vengono raccontate altre storie simili, accompagnate da rotoli di tessuti dai colori brillanti “sbagliati” che vorrei portare tutti a casa per fargli giustizia e rassicurarli sul fatto che non sono loro ad essere sbagliati, ma questo pazzo sistema di cui fanno parte. Un sistema che, purtroppo, ancora non è responsabilizzato a sufficienza per i suoi errori e per i suoi peccati di leggerezza. Un sistema che non è ancora abbastanza organizzato per evitare sprechi così ingombranti e che, nello stesso tempo, non riesce veramente a cambiare ed evolvere verso una dimensione creativa ma meno pazza. Un sistema incapace di svincolarsi dalle tendenze e dalla smania di novità, al quale basta sporcarsi le mani di verde per avere la coscienza a posto…

Quindi?

Quindi più che scuole di moda servono rehab per fashionisti disagiati! 😉 Scherzo. Servono soluzioni più stringenti per le aziende ed in contemporanea un’educazione più consapevole dei futuri designer (ma anche di quelli che sono negli uffici al momento) perché capiscano che l’impatto di un capo inizia dalla sua progettazione ed ogni scelta, anche quella di un ceruleo al posto di un carta da zucchero, ha un costo che paghiamo tutti. Tu che ne pensi?

Sulle aziende al momento posso fare poco, ma sui designer ci lavoro da tempo. A Gennaio parte il nuovo corso Re-Think Fashion e uscirà una cosa bellissima e utilissima. Rimanete connessi 😉

3 pensieri su “Il peso dei capricci della Moda

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